25.12.05

Santa Claus is coming to town

Il periodo natalizio, che per qualcuno si addice alle riflessioni più intime, è per gli animi inclini all'ascesi e alla meditazione il momento in cui il pensiero di sé lascia il posto a una vocazione ecumenica, che vorrebbe farsi carico dei problemi dell'umanità intera. La quotidianità, con il suo grigio ripetersi, tiene spesso gli altri a una distanza di sicurezza. Non troppo lontani, certo, ma abbastanza per non confondermi con loro. Io ho un sacco di tempo libero e nessuno, o nessun modo con cui trascorrerlo. Altri avrebbero mille cose da fare, e mille persone con cui farle, ma non ne hanno il tempo. Strano, questo maledetto tempo appare come una di quelle risorse tanto preziose per qualcuno quanto inutili per altri, come l'acqua o l'energia elettrica. Ma qui il rapporto quasi sempre si rovescia, ed è meno felice chi ne ha tanto da non saper che farsene, di tempo. A Natale, dicevo, questa distanza si assottiglia, e tutta la gente si riversa festante per le strade, a intasare le strade e i negozi, a bere aperitivi in locali orrendi, a comprare regali, e per forza di cose te la senti più vicina. Anche io del resto giro per le strade, spendo soldi, compro un sacco di oggetti inutili. Ma è poi, quando la sera ritorno nella mia mansarda, che mi rendo conto dell'abisso che mi separa dal conoscere le persone che mi circondano. E cresce in me il desiderio di stabilire un contatto con il tizio in fuoristrada a cui ho pivettato prima mentre ero in coda al semaforo, o con quell'altro che cercava di superarmi al bancone del bar mentre ordinavo una birra, pur essendo arrivato 10 minuti dopo di me.

Non crediate sia vanagloria, o desiderio narcisistico di mettersi in mostra, di specchiarsi nel riflesso di quanto si è belli, bravi e intelligenti. In certi momenti sento di essere animato da pura, semplice filantropia. La stessa che ostento quando ad esempio suono il clacson a qualcuno che ha girato senza mettere la freccia, per scuotere in qualche modo la sua coscienza, per fargli sentire che esisto anch'io. Ma non vorrei che con questa premessa i miei gesti di avvicinamento verso gli altri sembrassero in qualche modo frutto della premeditazione, o di una capziosa benevolenza. Sono invece comportamenti assolutamente istintivi, frutto di concatenazioni di eventi imprevedibili e, in quanto tali, difficilmente ripetibili, proprio come è successo ieri sera, la vigilia di Natale.

Verso la mezzanotte ero a casa del mio amico Diego (d'ora in avanti userò questo pseudonimo per garantire il suo anonimato), e dopo aver aspettato che, come ogni anno, si svolgesse tra lui e i suoi familiari la festosa cerimonia di apertura dei regali, gli ho consegnato il mio pacchetto. Il suo sguardo di disapprovazione nell'aprirlo diceva già tutto, ma c'era come una sottile intesa tra i nostri occhi, che lo spingeva a non sottrarsi al dovere che quel regalo implicava. Il dovere di un soldato che riceve una chiamata, o un incarico importante. Non è la bramosia di medaglie a spingerlo al sacrificio di sé e dei propri affetti, ma è un'abnegazione che ha radici profonde nella cultura militare, ma soprattutto nel sentimento di appartenenza a una comunità di cui condivide appieno gli ideali più profondi. E così, come un antico cavaliere che si prepara alla battaglia, con gesti lenti e studiati che ricordavano qualche oscuro cerimoniale esoterico, ha cominciato a scartare e ad aprire ogni singolo pezzo incluso nel mio pacco regalo. Si è infilato un paio di pantaloni rossi, ha legato un cuscino alla vita con una cintura di plastica, nera, con la fibbia anch'essa di plastica, ma bianca. Ha indossato una giacca rossa, un cappello rosso, una barba finta, gli occhiali da sole, e si è trasformato in Babbo Natale.



Ancora non era chiaro, alle nostre menti di esseri umani limitati, il disegno divino che da quell'apparizione stava prendendo corpo. Ma la Provvidenza assiste gli uomini di buona volontà, e in questo caso aveva le sembianze di una bandiera americana. Una bandiera bella grande, di quelle che sventolano sui pennoni delle ambasciate, per intenderci, con tutte le 50 piccole stelle bianche a cinque punte al loro posto. L'avevo trovata quando vivevo a Torino, la scorsa primavera. Un giorno avevo notato un cartello nell'atrio della stazione di Porta Nuova, che annunciava un'asta di oggetti dimenticati sui treni. Mi segnai la data, e il giorno convenuto (ma anche i giorni seguenti) mi presentai all'appuntamento con la sorte.

Ogni giorno per una settimana una decina di persone, e ogni tanto qualche barbone, si davano appuntamento in un locale dietro la stazione, dove un banditore delle ferrovie, che si vantava d'aver partecipato come concorrente a Ok il prezzo è giusto, simpaticamente intratteneva i suoi ospiti e batteva i vari pezzi di quest'asta strampalata. Ogni tanto arrivava qualche studente, ma io di solito ero sempre il più giovane, tanto che il banditore m'aveva preso in simpatia e spesso si rivolgeva a me in tono confidenziale: "Giovane, la vogliamo prendere o no questa valigia? Magari ci trova dentro un portatile, dei libri, dei cd, e io gliela posso fare a... vediamo... vanno bene tre euro?". C'era una signora che un giorno arrivò e cominciò a prendere un oggetto dopo l'altro, fino a spendere circa 50 euro, e se ne andò piena di valigie e con una bellissima statuina d'argento che rappresentava un cavallo imbizzarrito, gliela invidai molto. C'era una specie di barbone che si era fatto convincere dal banditore a prendere una valigia per la folle cifra di 20 euro! Per riuscire a piazzarla a quel prezzo, l'impiegato delle ferrovie continuava a sbirciarci dentro, e ripeteva: "Mamma mia, qui dentro c'è un tesoro, io questa a meno di 20 euro non ve la do, e vi assicuro che ne vale dieci volte tanto!". Il vecchietto, dopo lunghi minuti di tensione e silenzio, si decise a spendere tutto ciò che aveva nel portafogli, e ci trovò dentro circa 300 cd (senza naturalmente il marchio SIAE). Doveva essere la valigia di qualche venditore ambulante, che magari l'aveva abbandonata sul treno durante qualche controllo della polizia ferroviaria. Mi avvicinai a sbirciare anch'io, capitava spesso che ci facessimo vedere l'un l'altro, per curiosità, le nostre conquiste, maledicendo una valigia che ci eravamo fatti sfuggire oppure, al contrario, contenti di non aver buttato via qualche euro prezioso, che continuava a nutrire la speranza nel grande affare che ognuno di noi, lo ammettesse o no, sognava di fare. In quella valigia c'erano decine e decine di copie del cd del Festivalbar, di Elisa, e di altri 3 o 4 titoli abbastanza commerciali. Quel poveretto non poteva farsene niente. Me la offrì a 50 euro, poi scese fino a 20, io ero giovane e magari potevo rivenderli, quei cd, ma non me la sono sentita. Gli consigliai di andare al mercato di Porta Palazzo, il sabato, e di cercare qualche marocchino a cui piazzare l'intera valigia. Ma gli dissi anche di stare attento alla polizia, quella era roba che scotta. La richiuse subito e se ne andò in fretta senza dire niente, solo un saluto nervoso. I due poliziotti della Polfer che vigilavano sull'asta avevano già cominciato a guardarlo con sospetto.
Un altro signore, sui 40 anni, poco dopo si aggiudicò un misterioso scatolone di cartone, abbastanza pesante. Non si poteva vedere prima cosa conteneva, ma si poteva sentire quanto pesava, e più una borsa era pesante e più era possibile che contenesse oggetti preziosi. In questo caso si scoprì che conteneva i costumi di una spogliarellista: parrucche dalle fogge più strane, perizomi di paillettes con i colori della bandiera brasiliana, scialli, zeppe, reggicalze, vestitini improbabili... L'uomo, deluso per l'ennesima volta, se ne andò poco dopo, abbandonando lì lo scatolone. Altri allora si avvicinarono, per vedere se c'era qualcosa di interessante, ma nessuno prese nulla. Anch'io, incuriosito, mi avvicinai, e frugando e frugando decisi di tenermi una bellissima bandiera americana e un perizoma di paillettes con gli stessi colori.


Alla fine lasciai lì il perizoma, con gli indumenti intimi non si sa mai, ma alla bandiera ormai mi ero affezionato, e la portai prima nel mio appartamento a Torino, poi a casa, dove, non sapendo che farmene, finì appesa in bagno. Mia mamma mi ha spesso domandato quale fosse il motivo per cui tenevo una bandiera americana appesa in bagno. Io ogni volta le rispondevo, laconico: "Mi concilia l'attività intestinale", e alla fine mi sono proprio convinto che sia così.



Anche a Diego è piaciuta subito, quella bandiera. Forse perché, in questi tempi di guerra, da simbolo di liberazione è diventata l'opposto e, richiamando gli opposti, ha il fascino delle cose controverse. Ricordo i racconti di mia nonna sulla liberazione. Ricordo da piccolo al cinema Rocky Balboa con la bandiera americana sulle spalle. Ricordo Robert Mitchum nel film più bello sullo sbarco in Normandia, Il giorno più lungo. Per questo non riesco, nonostante ci siano tante ottime ragioni, ad associare la mia idea di America alla violenza, all'imperialismo, al male. E la cosa che mi affascina della bandiera americana è che di volta in volta ognuno può attribuirci il suo significato, che spesso è inconciliabile con il significato ad essa attribuito da altri. Liberazione e oppressione, guerra e libertà, morte e progresso. Ma in base a che cosa, da noi, prevale l'uno o l'altro significato? Riflettevamo su questo, io e Diego, un giorno in cui la squadra della nostra città vinse una partita di calcio importante, ma questo particolare ci interessava relativamente. Con tutta la gente per le strade a festeggiare, però, l'occasione era ghiotta per avere una conferma delle nostre opinioni. Così andammo in giro in macchina ascoltando a tutto volume l'inno dei marines e sventolando dai finestrini aperti la bandiera americana al posto di quella della squadra, che sventolavano tutti gli altri. La reazione quella volta fu positiva, e la maggior parte della gente applaudiva o gridava frasi di approvazione, credo senza capire il motivo per cui stavamo festeggiando la vittoria di una squadra di calcio a quel modo. Ma fu in quel momento che ci accorgemmo che la bandiera americana, da noi, è un simbolo che ormai richiama le ideologie di chi un tempo fu suo nemico. Non richiama alla mente Robert Mitchum che sbarca sul continente per liberarlo dall'oppressore nazista, non fa pensare a Rocky Balboa e agli altri eroi che hanno contribuito al mito americano. Ora pare che faccia pensare solo a Bush, alla guerra e a Mac Donald. Così tanto è cambiata la faccia dell'America? E tutto questo rende giustizia agli ultimi 50 anni della nostra storia e della nostra cultura? Qui c'era, in nuce, la tesi che avremmo dovuto dimostrare, ma allora era troppo problematico fare delle interviste per strada, a causa del chiasso dei clacson e dell'inno dei marines a tutto volume. La questione però si è riproposta in tutta la sua attualità quando ieri sera Diego, vestito da Babbo Natale, mi ha detto: "Andiamo a casa tua a prendere la bandiera americana?". Ho subito capito cosa intendeva fare, e così siamo andati a casa mia, ho preso la bandiera e la graffettatrice per pinzargli la barba bianca che già si era rotta, e siamo andati in centro a festeggiare il Natale, ma soprattutto a cercare delle risposte concrete, in mezzo alla gente. Mi dispiaceva lasciare il mio amico da solo bardato a quel modo, ma forse era giusto così: lui era l'esca, e io prendevo appunti.



All'inizio, passando nella zona dei bar notturni più alla moda di Udine, la situazione pareva sotto controllo. Sguardi divertiti, ma comunque di tacita approvazione. Anche qualche saluto, al quale Diego, con l'andatura barcollante a causa del cuscino sulla pancia, rispondeva con degli "Oh! Oh! Oh!" gridati con voce baritonale, da Babbo Natale. Fu con l'approssimarsi dei locali dove si riunisce una non meglio precisata gioventù di sinistra (categorizzazione ultragenerica che riunisce rapper drogati, giovani alternativi, pseudo intellettuali e alcolizzati di vario genere) che iniziarono i problemi. Gente che non si reggeva in piedi ma aveva la forza di insultare una persona solo perché era vestita da Babbo Natale texano con baffi, Ray Ban e una bandiera americana sulle spalle. Gente che non capiva (e davvero non capiva!) neanche che il cuscino era finto e accusava il malcapitato di essere grasso e schifoso a causa della sua alimentazione da depravato filoamericano del sud porco sionista alleato degli israeliani (la questione israeliana, inserita nella nostra indagine, aumenta ancora di più le implicazioni-complicazioni del significato della bandiera, a tal punto che è davvero difficile non perdere il filo della matassa). La rissa è stata solo lontanamente sfiorata, comunque, ma spostandoci da un locale di sinistra a un altro, la reazione è stata la stessa. A parte qualche illuminato, che riusciva a cogliere il fatto che una persona che si veste da Babbo Natale obeso con i Ray Ban e una bandiera americana sulle spalle non lo fa sul serio o per lanciare chissà quale messaggio politico, gli altri avevano tutti un atteggiamento ostile, sfociato in numerose richieste di consegnare loro la bandiera per poterla bruciare sul posto, neanche fossimo a Baghdad! Là immagino che non sia consigliabile fare certe, pur ironiche, provocazioni, ma in una sonnolenta città di provincia del Nordest... Un arabo la cui famiglia è stata sterminata dal fosforo bianco usato dall'esercito americano può anche non cogliere che quella bandiera è solo una presa per il culo, ma un italiano mediamente istruito (si spera) deve proprio essere sprovvisto di senso dell'umorismo per scambiare un povero Babbo Natale ciccione per un guerrafondaio o un violento prevaricatore. Eppure in molti, ragazzi e ragazze (una ragazza molto fine ha chiesto a Diego la sua barba bianca per potersi pulire il culo), hanno dimostrato una tale ostilità, che quando ci siamo trovati a tirare le conclusioni della nostra indagine, alle 5 del mattino e dopo qualche montenegro di troppo, sembravamo quasi Berlusconi: "Se sono questi, i ragazzi di sinistra con cui ci si deve confrontare, siamo proprio messi male!"



L'unica consolazione era che i soggetti peggiori si sono rivelati non più di 4 o 5, ma la maggioranza silenziosa che guardava quel Babbo Natale americano di sottecchi, siamo sicuri che fosse assolutamente neutrale nei suoi confronti? E siamo sicuri che questa neutralità non fosse menefreghismo o - parola abbietta - indifferenza? Con questo interrogativo, ci siamo avviati verso la macchina. Diego, che era partito all'inizio della serata con l'entusiasmo di chi ha ben chiaro che deve difendere qualcosa, anche se non sa bene cosa, tornava a casa senza aver avuto le sue risposte. Io, il freddo e razionale uomo di scienza, ero orgoglioso di come si era difeso dalle accuse, e della fiera baldanza con cui aveva portato quel pesante fardello di libertà sulle spalle, ma non sapevo se essere più contento perché la bandiera tornava a casa sana e salva senza neanche una bruciatura di sigaretta, o più scontento perché avevo ancora una volta constatato la mia diversità e la mia incomunicabilità sia con la gente che ha una generica ideologia di destra, sia con quella che ha una generica ideologia di sinistra. Immersi nei nostri pensieri, ci siamo fermati a riflettere davanti a un cassone dell'immondizia, simbolo dei reietti e dei rifiutati tanto da essere stato più di una volta, per un crudele paradosso, l'ultima dimora di chi aveva già perso tutto. In un mondo in cui i valori e la politica servono solo per mettersi l'uno contro l'altro, è normale che i più deboli siano trattati spesso alla stregua di oggetti e non di persone, e quindi, come in un normale ciclo di produzione che non si ferma mai, possano subire anche il triste destino dell'essere buttati via senza che nessuno se ne accorga. E io, ieri notte, ero talmente stanco e avvilito che non mi ero accorto del gesto estremo tentato dal mio caro amico.



Ma la sua pancia, ingrassata enormemente a furia di hamburger, patatine e coca cola, per fortuna gli impedì di compiere quel gesto estremo.



E alla fine cadde a terra, esausto.



Mentre mi avvicinavo prontamente per soccorrerlo, con parole che non ricordo cercai di infondergli fiducia in un domani migliore, pur non credendoci neanch'io più di tanto. Il suo animo si rasserenò un poco, quando gli dissi che quella non era la sua vita, era stato solo un esperimento per capire come mai ci sono tutte queste distanze, tra giovani che vivono le stesse vite negli stessi posti. E per capire come mai ci sono così tante distanze tra noi e tutti loro. Anche se non me l'aveva fatta, intuivo però dai suoi occhi l'innocente domanda: "Ma noi allora con quali persone possiamo identificarci, a quale gruppo apparteniamo?", e nella mia ingenuità non sapevo rispondere. Mi misi a riflettere un attimo e gli dissi: "Prova a pensare a Spiderman, a Batman, a Rambo, loro sono stati spesso osteggiati dalla società a cui facevano del bene, eppure alla fine chi ha avuto ragione? Eh? Ed erano tutti americani". Non so perché dissi quest'ultima frase, visto che noi non eravamo americani. Forse perché volevo che recuperasse un po' della fierezza, della sicurezza in sé che aveva dimostrato di avere con quella bandiera sulle spalle. Lui ci pensò su, si alzò da terra e sembrò risollevato.

"Spesso i veri eroi si trovano a dover combattere da soli"

Non ricordo chi dei due le pronunciò, ma furono le ultime parole che sentii, prima di andare a dormire. Fuori dalle case brillavano le luci natalizie, e di lì a poco i bambini si sarebbero svegliati e avrebbero aperto i loro regali. E sicuramente Babbo Natale, ancora una volta, ce l'aveva fatta a consegnare tutti i regali in tempo.

11 commenti:

Il_Marchese ha detto...

Oh, Pingu, quanto è bello, e commovente, e significativo.
Io sarei stato tra quelli che hanno ingiuriato Diego, sicuramente.
E caspita, mi sono sentito in colpa.

Questa frase, però, mi ha colpito molto, e la serberò a lungo, anche se -nella globalità del post- ha importanza relativa:
"suono il clacson a qualcuno che ha girato senza mettere la freccia, per scuotere in qualche modo la sua coscienza, per fargli sentire che esisto anch'io."
Dovremmo guardarci tutti, un po' di più, negli occhi.
Buon Natale.
Ti abbraccio.

Anonimo ha detto...

domani pomeriggio prendiamo un caffè insieme?
anonima che ti legge

PS:Buon Natalexx

pingu ha detto...

uhm, prima che contatti tutta la mia rubrica per capire chi sei, potresti anche darmi qualche informazione in più...

jp, sono sicuro che saresti stato tra gli illuminati, ti sarebbe bastato venirci vicino e parlarci...

Anonimo ha detto...

non rientro nella tua rubrica anche perchè non ci conosciamo.
ti leggo, mi piace quello che scrivi e mi sembrava carino prendere un caffè insieme, oggi oltretutto ero in centro.
xx

pingu ha detto...

anch'io ero in centro, stasera. ho comprato per soli 7 euro l'uomo a una dimensione di marcuse (per non far vedere che sono totalmente asservito al potere a stelle e strisce) e le confessioni di sant'agostino, quel che ci vuole durante le feste:

"E sotto la segreta potenza della tua medicina quel mio tumore si sgonfiava, e alla vista offuscata e ottenebrata della mia mente l'aspro collirio del dolore rendeva di giorno in giorno la salute."

per il caffè, scegli tu se scrivermi una mail o riconoscermi accidentalmente per strada...

Anonimo ha detto...

bevuto il caffè? lo vogliamo sapere.... :)

pingu ha detto...

:) no nepo, neanche oggi. l'unico caffè che ho bevuto mi è stato offerto da mia nonna. invece è stata un'altra giornata di acquisti post natalizi:

"Nei loro abiti bigi, come la nebbia della sera quando il sole è tramontato, mi vengono incontro lontananze di ricordi, desideri di gioventù, sogni d'infanzia, le brevi gioie di tutta la lunga vita, e le vane speranze. In altri spazi la luce ha piantato le sue tende gioiose..."

comunque la mia mail è nascosta tra i link di questa pagina, non me lo ricordavo neppure io ma c'è.

Anonimo ha detto...

ti ho cercato ma purtroppo senza esito positivo...le ore scorrono e... il caffè ... non ho trovato la tua mail.
xx

pingu ha detto...

in effetti forse non è molto immediato... è pingu_@alice.it. quando ho fatto il template del blog, non sapendo dove metterlo, ho messo il link alla mia mail sul nome pingu in basso (dove c'è "scritto da:"). invece chissà dove mi hai cercato, ma oggi era davvero difficile trovarmi. ero chiuso nei corridoi lunghi e polverosi della brocca rotta a cercare qualche vecchio libro con cui riempire il mio scaffale.

Anonimo ha detto...

e domani dove ti porta il buon vento... anzi la neve?
xx

Anonimo ha detto...

comunque marcuse insegnava negli stati uniti quindi non confuta il tuo asservimento alla bandiera a stelle e strisce (e che strisce)...