25.1.06

Ritorno al futuro

Avvertenza: questa non è una recensione né un articolo redazionale a scopo pubblicitario. Ciò che troverete scritto qui di seguito riflette solamente l'opinione del suo autore. Se volete leggere un giudizio obiettivo sull'oggetto al centro della mia dissertazione, potete andare qui o qui.


io mai ti darò una nuova cadillac
ed ora tu vai sulla nuova cadillac
perché c'è chi spende più di me

baby, baby, baby, si
se tu sei felice già così
il nostro amore è finito qui

the renegades, cadillac (1964)


L'antica Dacia era un'ampia regione dell'Europa centrale, chiusa a nord dai Carpazi, a sud dal Danubio, a ovest dal fiume Tisa, a est dal fiume Dniestr e dal Mar Nero. Più o meno l'odierna Romania, insomma. Una terra di cui in Italia si sa ben poco, nonostante parecchie affinità linguistiche e culturali, e che per certi versi mantiene ancora il fascino delle cose perdute: i meravigliosi castelli medievali della Transilvania, gli antichi monasteri ortodossi, i paesaggi bucolici dove è ancora possibile incrociare greggi di pecore e bufali, carretti trainati da cavalli, colonne di zingari diretti chissà dove. Ed è per viaggiare in quelle strade selvagge e impervie che è stata costruita la mia nuova macchina: la Dacia Logan.

L'antica Dacia


Quando chiedete a qualcuno la ragione di un acquisto importante, probabilmente le prime risposte che otterrete saranno la pubblicità, il passaparola di un amico, l'influenza di un opinion leader, un articolo letto su una rivista in bagno o su Internet (che per fortuna è ancora abbastanza difficile leggere in bagno), e altre cose del genere. Tutte le variabili del marketing mix a disposizione dell'azienda che produce il vostro acquisto, più o meno. Ma a volte tutto questo non basta a spiegare le ragioni di un acquisto. Sarà che ogni tanto ci viene voglia di fargliela sotto il naso, e prendere quel cazzo che ci pare, che magari è l'esatto contrario di quello che dovrebbe piacerci secondo le ricerche di mercato ma, che diamine, ci ridà per un attimo l'illusione di essere liberi nelle nostre scelte.

Ecco una pubblicità della Dacia Logan (la si intravede a destra sullo sfondo) per i mercati dell'est che spinge l'acquirente a non essere sentimentale, e a decidersi ad abbandonare il proprio rottame per affidarsi all'auto razionale. Dalla prossima settimana anche in Italia la Logan verrà promossa comunicando l'idea della razionalità del suo acquisto con la frase: Siate logici, siate Logan.


Nel momento in cui ho iniziato a guardarmi attorno cercando un'auto piccolina con cui andare a lavoro, le prime proposte alle quali mi sono trovato davanti sembravano scontate. Neanche a farlo apposta, con il mio budget e le mie necessità finivo sempre in quella fascia che mi era stata per così dire predestinata dai complessi calcoli di uomini che non avrei mai conosciuto. Per un'auto nuova che non superi certe cifre, lo dico molto a grandi linee, ci sono due possibilità. La prima include le citycar piccole piccole che vanno dagli 8-10.000 euro in su tipo smart, c1, panda, peugeot 107, aygo e chi più ne ha più ne metta (cito solo quelle che ho preso in considerazione). La seconda include le macchine piccoline ma un po' più grandi e costose delle citycar, come la polo, la punto, la yaris, la c3, la peugeot 206-7, eccetera...
A questo punto il mio destino sembrava naturalmente indirizzato verso una di queste due possibilità, qualora avessi deciso di acquistare un'automobile nuova. Scegliendo poi un motore diesel, visto che prevedo di fare parecchi chilometri all'anno, i costi sarebbero lievitati di un buon migliaio di euro. Ma poi, andando bene a vedere le caratteristiche, se non volevo avere l'allestimento più triste senza airbag posteriori e/o laterali (già ti immagini tutti i tuoi amici morti schiacciati tra le lamiere), o magari senza fendinebbia (e nella pianura padana come fai?), o addirittura senza climatizzatore (col rischio di schiattare per il caldo d'estate coi finestrini aperti che fanno entrare tutto lo smog), dovevo infilare nel preventivo un altro migliaio di euro come minimo. Non puoi mica comperarti una macchina che costa più di 10.000 euro e poi prenderti l'allestimento "poor" anziché quello "luxury in the bathroom" per una questione di poche migliaia di euri, no? Non scherziamo, piuttosto fai un finanziamento di 10 anni e zittisci tutti i tuoi detrattori, che se ne vadano loro in giro con il finestrino a manovella...
Insomma, mi trovavo immerso in tutto questo turbinio di offerte e tentazioni, quando ho realizzato che gira e rigira erano tutte, fottutamente uguali. Certo, tra un finanziamento a tasso zero e 1000 euro di sconto, tra il portabicchieri davanti al ventilatore per l'aria fredda e il sedile di dietro che si divide in 32 pezzi che ci puoi giocare pure a scacchi, le differenze ci sono e si vedono. Ma sommando una e sottraendo l'altra, questi astuti segugi dei desideri di chi compra un'auto fanno in modo che passando da un modello di una marca a un altro, i vantaggi compensino sempre gli svantaggi. Ci sono addirittura tre citycar di tre marche diverse praticamente uguali, nel motore e nella carrozzeria. Pare solo una questione di estetica e condivisione di valori fittizi, insomma, quasi come coi partiti politici quando vai a votare. E in questo non ci sarebbe alcun male, basta saperlo. In tante altre cose ormai non possiamo far altro che scendere a un compromesso, turarci il naso e esprimere una preferenza. Giunto a questa conclusione, però, avevo comunque davanti agli occhi un carnet di almeno 15-20 macchine tra gli 11 e i 15.000 euro tra cui scegliere. Pare poco...
Bisogna dire che una prima selezione avviene spesso con criteri che sono a tutti gli effetti irrazionali, ma che vanno considerati, diciamo così, irrazionalmente indotti. Che ne so, ad alcune macchine hanno dato dei nomi che fanno veramente schifo, ad esempio. Oppure hanno delle carrozzerie che sembrano insetti fastidiosi e viscidi. Non dico la nuova beetle che è pure carina, ma ce ne sono alcune che sembrano proprio lumache, ragni pelosi, bestie che te le immagini schiacciate per terra con la loro bava che lascia un alone tutto intorno. Ecco, ne ho escluse così almeno quattro o cinque, e mi sono dunque ritrovato davanti a un numero di modelli che si poteva contare sulle dita di una mano. E così sabato scorso ho cominciato a girare per le concessionarie. Un travaglio durato poco più di tre giorni. La decisione che ho partorito, invece, influenzerà la mia vita per parecchi anni a venire. Perché la prima macchina, come mi hanno insegnato i miei genitori, non si scorda mai. È questo travaglio che, per quanto posso, ora cercherò di descrivervi, in poche parole.

Un esempio di automobile - insetto nel suo habitat naturale


La strategia che avevo in mente era mostrare a mio padre - la Finanziaria cui facevo riferimento per un prestito senza scadenza e a tasso inferiore allo zero - le tre prescelte in ordine inverso, partendo da quella che mi piaceva meno fino a quella che mi piaceva di più. L'effetto voluto era, naturalmente, meravigliarlo con l'ultima offerta a tal punto, da fargli dire: "non preoccuparti figliolo, quello che costa in più delle altre ce lo metto io". Quindi, di comune intento come poche altre volte ci capita, siamo partiti alla volta di un concessionario fiat vicino a Udine.
L'ambiente era davvero pessimo: disordine, pavimento dissestato e sporco, illuminazione peggiore di quella del mio garage, fogli buttati qua e là sulle scrivanie alla rinfusa, come del resto le macchine nel parcheggio esterno. Pochi addetti alla vendita, per giunta, in un sabato affollato di giovani coppie che cercavano l'auto che accompagnasse per le strade della vita la loro unione stabile e duratura. Strano, o avevano dei figli, o sembrava che dovessero averne uno di lì a poco. Ma in quello squallore che sembrava certamente più adatto a un'officina ricambi che a un posto dove materializzare i propri sogni, tutto appariva meno romantico.
Una volta feci come lavoro (bellissimo!) il finto acquirente che va dal concessionario a chiedere informazioni su un'auto di lusso, ma in realtà deve stilare un dettagliato report sulla qualità del servizio. Il mio compito consisteva nell'andare alla mercedes (tanto per fare un esempio) a farmi fare un preventivo per un'auto costosa e poi vedere come mi trattavano e com'era l'ambiente, annotando tutti i particolari con crudeltà spietata. Allora il responso fu piuttosto positivo, ma se l'avessi dovuto fare in questa concessionaria - mamma mia! - non so proprio cosa sarebbe saltato fuori. Ero immerso in questi pensieri quando un attempato signore coi baffi, dai modi spicci e sgarbati, si avvicinò ad illustrarci le meraviglie della panda (esclusa subito per la posizione strana del cambio, che sembra una via di mezzo tra la leva di un trattore e la cloche di un aereo anteguerra) e della punto, grande e piccola. Nessun entusiasmo trapelava però dalle sue parole, e sia io che mio papà lo guardavamo con aria triste, annoiata e assorta. Alla fine lui ci guarda e fa: "vi vedo perplessi, pensavate costasse meno?". Era così solo in parte, ma quelle parole idealmente sancirono la conclusione della mia esperienza con la fiat, almeno per questa volta.

Il manifesto del lancio della grande punto, a Mirafiori.
Di poche parole, come i suoi addetti alle vendite.


La tappa seguente prevedeva una sosta alla citroen, che poteva essere un'outsider da tenere in considerazione. Mentre aspettavamo il nostro turno, quindi, dovevo illustrare io per primo al mio dubbioso compagno le meraviglie dell'auto che avevo individuato come target ideale: la c2. Rispetto alla c3 (esclusa perché in tutto e per tutto richiama in me l'idea di donna elegante) ha solo due porte, ma l'aspetto simpatico e la qualità degli interni potevano fare la differenza. La cordialità del venditore e gli ottimi servizi post-vendita offerti, però, non riuscivano a convincere del tutto né me né il mio principale finanziatore che, astuto come una volpe, si divertiva a contrattare sul prezzo dicendomi di sottecchi di non proferire parola, per non tradire le nostre reali intenzioni. Io, che nascondevo le mie reali intenzioni sia a lui che al venditore, manco fossi una spia del kgb, stavo al gioco e aspettavo le mie carte vincenti. Anche se, a dire la verità, non avevo ben chiaro a che gioco stessi giocando. Forse per questo studiavo più che altro le loro mosse, senza preoccuparmi di prendere iniziative avventate.

Il modellino della c2, davvero un bel giocattolo


La terza visita, il giorno seguente, fu forse quella rivelatrice. Era un'assolata e fredda domenica di gennaio... Insomma, per farla breve siamo andati alla concessionaria toyota. Ambiente fresco e dinamico, e addetti alla vendita che sembravano gli stessi eleganti e decisi uomini di marketing che immaginavo a studiare i mix delle offerte da proporre al pubblico, in riunioni interminabili. La cosa mi inquietava non poco, perché quello che doveva essere il mio consigliere d'acquisto, proprio lì di fronte a me perdeva completamente la sua neutralità nel mostrarsi completamente asservito alla filosofia dell'azienda. Del resto, l'approccio aggressivo e determinato del giovane che ci seguiva pareva inarrestabile. Non ci aveva ancora fatto il preventivo, che già aveva scelto la macchina che faceva al caso nostro. Ancora non ce l'aveva descritta, e già mi ero seduto al volante. Yaris ultimo modello superaccessoriata, con un airbag per posto e anche uno nel bagagliaio, forse, per non far sciupare le valigie in caso di incidente. E infine, ciliegina sulla torta, cambio robotizzato.
Appena ho constatato che non c'era la frizione, ho cominciato ad andare nel panico, col giovane venditore di fianco a me che mi diceva dove nascondere il piede sinistro per non avere la tentazione di cercare quella maledetta frizione, che non c'era. Dovevo solo accellerare e frenare. Dopo qualche minuto in cui mi sembrava di essere alla prima lezione di scuola guida, ho capito che non era difficile. Il tragitto era già prestabilito, dovevo prima andare in tangenziale per accorgermi che i 90 cavalli a mia disposizione servivano a qualcosa, poi dovevo provare la frenata brusca presso una stazione di rifornimento abbandonata per vedere che la macchina non si spegneva mai, e in un lungo rettilineo dovevo prendere dimestichezza anche col cambio manuale, che però funzionava come quelli delle macchine di formula uno. Un tocco su, si scende di marcia. Un tocco giù, si sale. Alla fine, per evitare scene imbarazzanti, ho scelto di tornare col cambio robotizzato fino alla concessionaria, dove ci attendeva la sorpresa di un prezzo piuttosto altino, quasi 15.000 euro. Si poteva scendere un po' rinunciando a qualche optional, ma che diamine, vorreste mai rinunciare al cambio robotizzato per 250 miseri, pulciosi euri? E la vernice metallizzata? Passi il clima automatico, ma i fendinebbia? I sei airbag? Prendendoci per sfinimento, il giovane ha finto anche di prenotarci un'auto, senza impegno, lasciandoci con parole che suonavano come una terribile minaccia: "sapete, è l'ultima che abbiamo a disposizione con le caratteristiche che volevate, dopo questa dovrete aspettare mesi, mesi..."

Il cambio manuale / robotizzato della nuova yaris


Ero di fronte a un bivio, non solo nell'acquisto di un'auto ma nella mia vita. I due giornali di automobili comprati per l'occasione non mi aiutavano. Li sfogliavo nervosamente aspettando una rivelazione, che ne so, una macchina che facesse 30 chilometri con un litro, ma niente. Dovevo spendere più di quanto mi era consentito? O spendere meno ma rinunciare ad avere una macchina completa di tutto? Era come se mi avessero fatto vedere una casa splendidamente arredata con finiture preziose, marmi purissimi, tessuti barocchi alle pareti, per poi dirmi: "ok, la tua casa è questa, ma se così com'è non te la puoi permettere, ora noi te la svuotiamo tutta e ti lasciamo solo le pareti imbiancate, e magari pure uno sputacchio nel cesso".
Con questo stato d'animo passai il lunedì a crucciarmi e a chiedermi perché fossi così mogio, pur essendo a un passo dall'acquisto della mia prima auto. Il motivo era che nessuna di quelle auto la sentivo veramente mia. Non erano macchine deprecabili in sé, sembravano semplicemente fatte per altre persone. Magari potevo guidarle anch'io, certo, ma non avevano niente di romantico, di passionale, nulla che trascendesse il loro essere delle semplici, utili macchine. Gli uomini di marketing, con me, avevano fallito. Ed ero triste perché non avevano pensato a nessun modello - perché tra tante centinaia ne bastava uno solo - per me. Non voglio certo passare per vittima trascurata dalla grande industria automobilistica, ma vedevo il mio potere d'acquisto stroncato sul nascere da una proposta che non mi soddisfava, e mi ero ormai rassegnato a prendere semplicemente l'auto che mi dispiaceva di meno. E una nuova, improvvisa proposta, la skoda fabia, sembrava impersonificare tutte queste mie paure. Economica e decorosa, interni nella media, estetica simile a mille altri modelli, bagagliaio nella norma, optional compresi soddisfacenti, ma alla fine cosa mi restava? Un'auto che si confondeva nel traffico, ignorata da tutti, un'imitazione delle volkswagen che non potevo permettermi. Dentro quell'abitacolo mi sarei sentito un signor nessuno, un ectoplasma nel traffico, senza neppure il beneficio di passare attraverso le altre macchine. Ero sicuro che un giorno non troppo lontano l'avrei persa in qualche parcheggio, così, improvvisamente, senza ritrovarla più.

Chissà, forse la macchina che cercavo era questa...


Non ricordo come accadde, so solo che una di queste sere ero seduto a riflettere davanti a google, quando mi sono ricordato di un vecchio articolo che avevo letto su repubblica. Parlava di un modello di automobile supereconomico, prodotto inizialmente per i poco esigenti mercati dell'est, che aveva avuto molto successo al suo arrivo in Francia. Si parlava di cifre ridicole, intorno ai 5000 euro, e non per una citycar, ma per una berlina d'altri tempi. Il suo nome era Dacia Logan, e il suo marchio era di proprietà della Renault. Mi meravigliavo di non essermene ricordato prima, ma andando a controllare fu facile scoprire il perché. La pubblicità in Italia era stata nulla, perché il lancio di quest'auto era previsto per la fine di gennaio, tra meno di una settimana! Il mio tempismo sembrava frutto della Provvidenza. Su Internet si trovava solo qualche breve articolo, alcune foto e nulla più, ma era quanto bastava per farmi un'idea. Spartana, da battaglia, essenziale, erano gli aggettivi che ricorrevano di più nelle sue descrizioni. La carrozzeria ricordava un po' quelle grosse alfa romeo dei primi anni '80, o le macchine che vedevo una decina d'anni fa quando andavo in vacanza in Croazia. Il primo pensiero che mi fece venire in mente fu quello di mio papà che spesso, in questo periodo, la domenica ci portava in montagna sulla sua alfa 75, quand'ero piccolo, e nel viaggio ci faceva ascoltare le cassette di Dalla e Ramazzotti (quella con Terra promessa). Prima di tornare, nel tardo pomeriggio, ci fermavamo sempre in una tabaccheria vicino casa, e mi facevo comprare un puffo, una puffetta o un baby puffo da aggiungere alle mie due squadre di calcio dei puffi. Bastò questo pensiero a dare il la a una catena interminabile di ricordi e suggestioni che avevo ormai rimosso da anni. Mi convinsi sempre più che era quello che cercavo, ma essendo una macchina dovevo valutare anche altri fattori. In Italia costava un po' di più del previsto (dagli 8 agli 11.000 euro) e non potevo certo proporla a mio padre con la storia dei puffi, che naturalmente mi tenevo ben lontano dal raccontare.

Come immaginavo la mia futura compagna nei primissimi anni '80


Quando la mattina dopo andai a vederla al concessionario, per la prima volta in missione da solo, cercai di studiarne gli aspetti positivi, e invece me ne innamorai. L'addetto alle vendite mi parlava di "un'auto che deve essere capita dal nostro mercato", diceva che "è adatta a un target di persone limitato e poco interessato all'estetica", ed è rimasto stupito non poco quando gli ho detto che mi occupavo di comunicazione e pubblicità. Quello che secondo lui doveva essere il target più ricettivo alle novità riguardanti il design e la tecnologia all'avanguardia, lo vedeva ora, nella mia persona, interessato a un'automobile che in cuor suo avrebbe proposto forse solo a un vecchio che abitava in montagna e ci saliva sempre con le scarpe inzaccherate di fango, dopo aver tagliato la legna. Non si scappa, o era lui che ne sottovalutava le potenzialità, o ero io che le sopravvalutavo. Incontrarsi però fu abbastanza facile, una volta che fu chiaro a entrambi che non ero minimamente interessato alle varie clio, modus, twingo e a quant'altro ci fosse nel suo salone. I miei occhi brillavano solo per la Dacia Logan. Non saprò mai se gli esperti di marketing avevano previsto anche questo, ma ogni cosa che aveva in meno rispetto alle auto progettate per i giovani d'oggi, era per me un punto di merito in più. Non sembrava un'auto del futuro prossimo venturo, ma aveva il fascino misterioso e inspiegabile di una macchina vecchia di almeno dieci anni ma appena uscita dalla fabbrica, arrivata ai giorni nostri come dopo un viaggio nel tempo. Tornai a casa, ed entusiasta come mai ero stato in tutti quei giorni di ricerche, dissi solo poche parole: "pa', ti dico solo questo: una berlina enorme, diesel, con servosterzo e condizionatore, per meno di 12.000 euro". Poi aggiunsi: "ha un bagagliaio così grande che ci potete stare dentro tu e la mamma, insieme". "È una minaccia?" fu la sua risposta. Sembrava poco entusiasta delle foto nel depliant. Solo io sapevo la verità.

Il capientissimo bagagliaio della mia Dacia Logan


Alla fine accettò di accompagnarmi a provarla, il pomeriggio stesso, e ogni minuto che passava ero più deciso. Ripetevo come una litania, ormai in fibrillazione, tra me e me: "voglio questa macchina apparentemente goffa, sfigata, che sembra vecchia di 20 anni e viene venduta come nuova, che è prodotta in Romania ed è assemblata in buona parte a mano...". Sentendo parlare dei suoi ammortizzatori fatti per affrontare le più disagevoli strade sterrate rumene, delle sue forme squadrate per risparmiare sulle costose rotondità delle macchine attuali, dei suoi interni grezzi senza nessun vezzo o concessione all'estetica, mi ci affezionavo sempre di più. Immaginavo di guidarla con mia moglie al fianco e i nostri quattro marmocchietti dietro che giocavano, litigavano, vomitavano nei sacchetti di plastica mentre li scorrazzavamo per l'Italia in vacanza, ad agosto, senza condizionatore e con i finestrini a manovella. Era la felicità. Altro che le coppiette del grigio concessionario fiat, condannate alla mediocrità. Altro che i giovani rampanti, felici della loro auto costosa con cui fare le sgommate ai semafori. Quell'auto rappresentava esattamente la vita che volevo. Sicura, robusta sulle buche, sincera e piena di amore. Perché un'auto così spaziosa non si compra per starci da soli. Comprare una citycar mi condannava alla solitudine, o alla sterilità della coppia che basta a sé stessa. La Dacia Logan mi dava l'illusione di una famiglia. Giovane, magari sfigata e senza un quattrino, ma felice.

Il cruscotto è un po' spartano, ma il posto di guida è comodo e spazioso


Non bastò a dissuadermi nemmeno la presunta prova preparata ad hoc dal nemico tedesco (in questo caso dei semplici giornalisti del settimanale tedesco Spiegel), allo scopo di far fare una figuraccia a questa rivoluzionaria new entry economica venuta dall'est. La trappola ordita da quelle menti depravate consisteva nel sottoporre la mia Dacia Logan al cosiddetto test "dell'alce" (detto così, credo, perché simula la sterzata per evitare un alce), dopo averlo però manipolato e contraffatto in modo da farla ribaltare. Secondo i loro sporchi piani sarebbe bastata qualche foto fatta girare sui giornali e in rete per screditare la mia prediletta a tutto vantaggio, naturalmente, dell'industria automobilistica tedesca da cui erano stati corrotti. Ma quel test è poi risultato falsato e quindi non attendibile, suscitando ancora di più il mio sdegno e la mia presa di posizione a favore dell'eroica Dacia, futura compagna di mille battaglie.

Le foto calunniose e irresponsabili fatte girare dal settimanale tedesco Spiegel
per infangare la reputazione della Dacia Logan.



Parlandone al telefono con Michele, l'unico a cui confidavo i miei pensieri di questi giorni (non osavo dirlo ad altri per il timore di essere dissuaso dall'acquisto, credo), mi soffermavo sul fatto che prima di avere una famiglia avrei dovuto anche abbordare delle ragazze, e non con un'auto di quelle in voga oggi, agile e scattante, ma con un pachiderma di oltre una tonnellata, con un design da far invidia alle skoda di quando ero piccolo. Certo, potevo puntare sul fascino dello zingaro balcanico che ne ha passate tante, ma non so quanto sarei credibile nella parte. Probabilmente qualcuna storcerà il naso quando dirò: "ecco, è questa la mia macchina", ma è un rischio che devo correre, per sapere con chi ho a che fare. Se lei fa i miei stessi sogni, capirà.
Per dovere di cronaca, infine, ammetto di aver preso il top della gamma, come un vero signore, restando comunque entro il budget previsto. Quando ho detto a mio padre che non mi sarebbe dispiaciuta l'idea di un'auto con gli alzacristalli a manovella e con la vecchia, sana chiave al posto di quell'insulso telecomando oggi così tanto in voga (la yaris si apriva con le chiavi in tasca senza neppure dover schiacciare l'interruttore!), lui mi ha guardato ridendo. Forse pensava che scherzassi. Il fatto che l'allestimento full optional Laurèate non avesse costi esorbitanti ha poi convinto anche me. In fondo l'automobile non può essere un acquisto dettato totalmente dal sentimento, è sempre un oggetto che dura e dev'essere prima di tutto pratico e funzionale. Anche se davanti ai miei occhi innamorati la Dacia Logan è bella quanto la spider rossa 1600 Duetto usata da Dustin Hoffman ne Il laureato. Anzi, è ancora più bella. In fondo quando lui entra in chiesa e strappa lei dal grigio destino di sposa senza amore, abbandona lì la spider con cui era arrivato. Inseguiti dai parenti infuriati, infatti, i due innamorati salgono all'ultimo momento su un pullman vecchio e scalcinato, in mezzo a vecchine e poveracci. Lei ha ancora il vestito da sposa, lui sorride con il cuore che gli scoppia in petto, come mai in vita sua. Hanno entrambi la faccia incredula e felice. E io, per adesso, non ho bisogno di altro.

12.1.06

Dalla cravatta alla pompa pneumatica

E con quella grossolaneria intermittente che riappariva in lui non appena cessava d'essere infelice e che nel momento stesso abbassava il livello della sua moralità, egli esclamò dentro di sé: « E dire che ho perduto degli anni della mia vita, che ho voluto morire, che ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva, che non era il mio tipo! »

Marcel Proust, Un amour de Swann

Stando ai più generici principi della fisiognomica, interpretati tra l'altro in maniera piuttosto grossolana, una persona che mi vede per la prima volta potrebbe dire che il mio naso piccolo e regolare è indice di buon carattere e forse di una certa effemminatezza, che i miei occhi scuri leggermente infossati denotano un atteggiamento sospettoso, che la mia bocca larga e regolare lascia presupporre un'indole positiva, mentre le mie labbra carnose rivelano persino una certa sensualità, anche se poco appariscente. La fossetta sul mento, infine, assieme al viso abbastanza squadrato, è sinonimo di bontà d'animo, di gentilezza, e anche di una buona dose di pazienza.



Considerazioni limitate e limitanti, certo, ma che in fin dei conti facilitano il compito di chi dovrà interagire con me, e difficilmente penserà di avere a che fare con un pazzo pronto a puntargli il coltello alla gola. Anche questo poi è vero fino a un certo punto, come dimostrano alcuni aneddoti tratti dalla mia esperienza personale. Ad esempio poco tempo fa mia nonna, che ha più di novant'anni e mi adora, ha temuto che dentro di me potesse addirittura annidarsi una vera e propria furia omicida. Aveva sentito al telegiornale che un giovane - intelligente e ottimo studioso, ma un po' solitario - aveva ucciso e fatto a pezzi gli zii con cui viveva, e quando quel giorno sono andato a trovarla mi ha fatto uno strano discorso, consigliandomi di avere pazienza e sopportare le piccole incomprensioni di ogni giorno con papà e mamma, perché il lavoro arriverà, presto avrò una famiglia mia, e se c'è qualcosa che non va basta che ne parli, perché a tenere tutte le cose dentro poi si finisce come quel ragazzo, intelligente e ottimo studioso, ma un po' solitario che...
Ricordo poi ancora molto bene quando Giulia, all'epoca la mia ragazza, per convincere sua madre a farci andare in vacanza insieme, di fronte a me le chiese: "mamma, guarda Alessio, guardalo bene, con lui vicino cosa vuoi che possa succedermi?". La madre rispose, laconicamente: "si, ha quell'apparenza da bravo ragazzo, ma secondo me ha anche un po' l'aria da maniaco". Lo disse col sorriso, e il suo implicito permesso a portare la figlia in vacanza fu un buon motivo per non insistere sull'argomento, chiedendole cosa intendesse esattamente per maniaco. D'altra parte sua figlia poteva saperlo sicuramente meglio di lei.

Io, com'ero quando stavo con Giulia.



Certo non si può neanche dire che la fisiognomica non abbia un suo fondamento nella realtà. Anche senza aver letto il trattato Della fisiognomica, scritto dal pastore protestante di Zurigo Kaspar Lavater, penso che nessuno si fiderebbe mai a mettere le cose o le persone che gli sono più care nelle mani di un qualche losco figuro con gli occhi torvi e iniettati di sangue, magari grasso come un maiale e con la barba unta.
Ma ciò, che è pur sempre un'evidenza, non può certo spingerci a credere che l'aspetto fisico ci condizioni così tanto da influenzare in maniera decisiva la nostra pur debole personalità. Quando andavo alle superiori, ad esempio, la ragazza di cui ero innamorato usciva con un ragazzo grosso, rozzo nei lineamenti e nei modi, goffo e francamente inguardabile, ma che aveva una sua rilevanza, una sua notorietà all'interno dell'istituto. Io ero una nullità, nell'istituto intendo, e di conseguenza mi sentivo inferiore a lui e di nessun interesse per le ragazze, sia esteriormente che interiormente, anche se l'interiorità era l'unica cosa che avrei salvato, di me. Dal momento che non la vedeva nessuno, potevo sempre pensare che se qualcuno prima o poi l'avesse scoperta, forse l'avrebbe anche potuta apprezzare. La salvavo col beneficio del dubbio, diciamo così. Soltanto ora, col senno di poi, posso dire con discreta certezza che pur non essendo particolarmente bello, non è stato l'aspetto fisico a condizionare le mie insicurezze negli anni seguenti. Altrimenti, se fossi stato solo un poco più brutto, brutto quanto il ragazzo che piaceva al mio amore immaginario del liceo, come sarei finito? Che fine avrei fatto? Non voglio neanche pensarci.
Quindi non posso che essere d'accordo con Georg Christoph Lichtenberg quando, confutando le teorie di Lavater, afferma che la fisiognomica non può essere neanche lontanamente considerata come una scienza dimostrabile, ma semmai come uno schema mentale che usiamo per semplificare la realtà che ci circonda. Riconoscendo nei volti che camminano intorno a noi ogni giorno i tratti del maiale grasso e cattivo, della volpe furba o del cammello malfattore, la nostra economia percettiva non potrà che beneficiarne. Anche se nel momento stesso in cui bisogna associare alle forme decifrate dei comportamenti, arrivano a sovrapporsi anche altri parametri. Come dovrò comportarmi con un eventuale islamico - cammello che mi chiede un'indicazione su come si usano i distributori di merendine in stazione? Dovrò chiamare un poliziotto gridando all'attentato? E se a una festa incontro una ragazza - faina che mi piace? Dovrò scartarla solo perché ha le labbra sottili?

Un disegno di Charles LeBrun, appassionato di fisiognomica



No, credo che alla fine non ricorrerò ai calcoli e alle misurazioni di Lavater o Lombroso, né alle magnifiche e deliranti intuizioni di Charles LeBrun, ma mi baserò su un insieme di concetti preesistenti che fanno parte sicuramente della società e della cultura in cui vivo, e in larga misura dipendono da criteri assolutamente personali. Se ad esempio ho avuto un'esperienza negativa con una ragazza dalle labbra sottili, sarò certamente prevenuto. Anche se questo, lo ammetto, finora non è bastato a tenermi lontano dal ripetere sempre gli stessi errori. Forse perché a qualsiasi volto, a qualsiasi voce, a qualsiasi umana caratteristica di una ragazza che mi piace si sovrappongono sempre, nella percezione che ho di lei, le fantasie e le aspirazioni ideali che si sono sedimentate per tutti questi anni nella mia mente, tanto che ho spesso pensato di aver amato sempre la stessa ragazza. Anche se evolveva, cresceva e pure cambiava di aspetto, a volte impercettibilmente e a volte in maniera più marcata, proprio come una persona viva, in carne ed ossa, ho avuto spesso l'impressione che la sua immagine reale esistesse solo nel mio cervello.

« Ciascuno di noi, dal momento che non è in grado di comprendere un volto per intero, ne fa, per così dire, un estratto, ricavandolo in base alla propria collocazione nel mondo, alle proprie idee, ai propri interessi, al proprio umore e al proprio ingegno, e attribuendogli, secondo questo sistema, i significati più strani. »

Georg Lichtenberg, Sulla fisiognomica; contro i fisionomi.



Georg Lichtenberg, docente di fisica dell'Università di Göttingen verso la fine del '700, di fronte alle teorie di Lavater contrappose alla fisiognomica la scienza patognomica, che studia non l'influenza di alcune caratteristiche dell'esteriorità sulla personalità dell'individuo ma, al contrario, i continui cambiamenti del corpo dovuti al proprio stato emotivo. Rigirando un po', ma neanche troppo, questo assunto, si può dire che io faccia la stessa cosa, quando parlo delle mie esperienze sentimentali passate. Cerco di decifrare di volta in volta le modifiche che le mie emozioni inducono sul volto umano dell'amore ideale disegnato dalla mia immaginazione, con il sogno forse di trovare un giorno il segreto per riconoscerlo nella realtà, ottenendo la perfetta sovrapposizione dell'uno e dell'altro, di ciò che è fuori e di ciò che è dentro di me.
So, come forse immaginava anche Lichtenberg, che si tratta di un'operazione difficile, faticosa e forse impossibile. Come sarebbe facile riconoscere quel volto da una piega delle labbra, dall'ampiezza della fronte, o dagli zigomi più o meno sporgenti... Il mio intenso e inarrestabile lavoro, invece, non mi dà nessun punto di riferimento preciso, nessuna certezza, come potevano esserlo le proporzioni di un volto per Lavater. La mia è una ricerca che presuppone l'interazione, l'incontro con un'altra persona. E come tutte le interazioni, e come tutti gli incontri, nasconde in sé le insidie dell'incomprensione, del dolore e dell'abbandono. Ma come potrei mai preferire un approccio che mi garantisce sì un risparmio della fatica percettiva e uno schema di riferimento sicuro, ma non è capace di spiegarmi fino in fondo perché una persona, che apparentemente neanche mi piace o che addirittura non ho neanche mai visto, è capace di sconvolgere ogni mia sensazione, ogni piccolo frammento della mia nuova vita nata dall'incontro con lei?

Alcuni casi studiati dal famoso medico, criminologo e collezionista Cesare Lombroso.



Oggi non sono solo le riflessioni di Georg Lichtenberg ad allontanarci dalla convinzione che sia possibile conoscere l'interiorità dell'uomo attraverso l'analisi di alcune caratteristiche del suo aspetto esteriore. La psicanalisi, le storie nate su internet, la chirurgia estetica, la multirazzialità e l'incredibile varietà negli stili di vita delle persone rendono la fisiognomica assolutamente fuori moda, e credo giustamente. Il rapporto tra interno ed esterno appare ora quasi rovesciato. L'uomo ha molte più possibilità di fingere un'apparente normalità, di mascherare i difetti fisici e non, o di nasconderli. Può addirittura farne una propria forza, una peculiarità. Sono invece i turbamenti della psiche ad imporsi in tutta la loro pericolosità, senza che il corpo ne rechi tracce tangibili. Chissà cosa penserebbe oggi Lombroso, la cui testa dall'espressione corrucciata è conservata sotto formalina in un vaso di vetro, su uno scaffale dell'ormai smantellato (e purtroppo attualmente non visitabile) museo di antropologia criminale, a Torino. Chissà cosa direbbe anche Lavater, che nel '700 diede basi scientifiche allo studio del carattere in rapporto alla fisionomia, ed era un appassionato collezionista di ritratti di silhouettes, quei profili del corpo disegnati in nero su sfondo bianco che andavano tanto di moda all'epoca, e che lui riteneva utilissimi strumenti per capire le persone.

Un esempio delle Silhouettes di Lavater, con alcune tracce della sua analisi.




Ma la mia ammirazione per Lichtenberg non si limita certo alla sua opera di confutazione delle tesi della fisiognomica, allora così in voga tra intellettuali e scrittori (Goethe e Balzac ne furono, pare, ammiratori). Né la stima che ho per lui è dovuta ai suoi pur sagaci e intelligenti aforismi. Il fatto è che poco tempo fa, sfogliando a casa di Fabio l'ultimo volume degli Scritti di Walter Benjamin (1934 - 1937), ho trovato per caso una lettera di Lichtenberg (fa parte di una raccolta di lettere di intellettuali tedeschi del XVIII e del XIX secolo realizzata dallo stesso Benjamin). Era questa:

Lettera di Georg Cristoph Lichtenberg a G. C. Amelung.

Gottinga, inizio del 1783

Mio amatissimo amico,

questa, io la chiamo davvero amicizia tedesca, carissimo. Mille grazie per il Suo ricordo! Non le ho risposto subito, e sa il cielo quel che ho passato! Ella è e dev'essere il primo a cui lo confido. L'estate scorsa, poco dopo la Sua ultima lettera, ho patito la più grave perdita della mia vita. Quel che io Le dico, non deve saperlo nessuno. Nel 1777 (i sette non servono proprio a nulla), conobbi una ragazza, figlia di gente di questa città, che aveva allora un po' più di tredici anni, nella mia vita non avevo mai visto un simile modello di dolcezza e di bellezza, sebbene abbia visto molto. Quando la vidi per la prima volta, si trovava in compagnia di altri cinque o sei a vender fiori ai passanti sui bastioni, come fanno qui i bambini. Mi offrì un mazzo, che acquistai. Avevo con me tre inglesi, che mangiavano e abitavano a casa mia. God almighty, disse uno, what a handsome girl this is. L'avevo notato anch'io e, sapendo che razza di Sodoma sia la nostra cittaducola, pensai seriamente di sottrarre a simile commercio quella splendida creatura. Le parlai finalmente a quattr'occhi e la pregai di venirmi a trovare; mi rispose che non andava in casa di un giovanotto. Ma quando sentì che ero un professore, venne un pomeriggio con sua madre. In una parola, smise di vendere fiori e stava tutto il giorno da me. Trovai allora che quel corpo splendido celava un'anima, quale da lungo tempo avevo cercato senza mai trovarla. Le insegnai a scrivere e a far di conto, e altre nozioni che, senza farne una svenevole saccentella, sviluppassero sempre più la sua intelligenza. I miei apparecchi di fisica, che mi son costati più di 1500 talleri, l'attirarono all'inizio per la loro lucentezza e alla fine l'usarli divenne il suo unico divertimento. La nostra conoscenza era ormai cresciuta in sommo grado. Andava via tardi e tornava col giorno, e per tutta la giornata si dava da fare a tenere in ordine la mia roba, dalla cravatta alla pompa pneumatica, e questo con una dolcezza angelica, quale non avrei mai pensato possibile. La conseguenza fu quella che Ella può indovinare: dalla Pasqua del 1870 rimase sempre da me. Questa vita le piaceva al punto che non scendeva le scale se non per andare in chiesa e a comunicarsi. Non c'era modo di allontanarla. Eravamo sempre insieme. Quando era in chiesa mi sembrava di esser rimasto privo degli occhi e di tutti i sensi. - In una parola - pur senza la benedizione pretesca (mi perdoni l'espressione, ottimo, carissimo amico) ella era mia moglie. Nè io potevo guardare senza commuovermi profondamente l'angelo che aveva contratto una simile unione. Che mi avesse sacrificato ogni cosa, senza forse sentirne tutta la gravità, mi era insopportabile. Perciò la facevo sedere alla mia tavola quando c'erano amici che pranzavano da me, le davo tutti gli abiti che la sua posizione richiedeva, e ogni giorno l'amavo di più. Era mio fermo proponimento unirmi con lei anche dinanzi al mondo, cosa che ella, con l'andar del tempo, prese talvolta a ricordarmi. Oh, gran Dio! Questa fanciulla divina mi è morta la sera del 4 agosto 1782, al calar del sole. Avevo chiamato i medici migliori, tutto è stato fatto, tutto quanto era possibile al mondo. Ci pensi su, carissimo amico, e mi permetta di chiudere qui. Non mi è possibile continuare.

G. C. Lichtenberg


A parte il linguaggio apparentemente formale dell'epoca, o forse proprio grazie ad esso, la trovo una perfetta rappresentazione di quanto sia fragile e inafferrabile la felicità, a questo mondo. Passiamo una vita intera a chiederci come raggiungerla, ad arrovellarci sul senso stesso della nostra vita, e quando riusciamo ad afferrarne un brandello, uno soltanto, non ci rendiamo conto di come, in un brevissimo istante, possa sfuggirci via dalle mani. La tentazione di sedersi su una sedia a guardare gli altri vivere è forte ma, con il richiamo di una sensuale sirena, ad ogni angolo la vita torna continuamente ad avvilupparci nei suoi gorghi violenti, portandoci chissà dove.

6.1.06

Anyway that you want me

Non potevo trovare modo migliore per iniziare l'anno, devo ammetterlo. Me and you and everyone i know è uno di quei film che ti fa guardare la vita in un altro modo, un po' come quando ti innamori. Quello che prima era brutto diventa bello, e se prima ti sentivi uno sfigato e non vedevi l'ora di andare a dormire, dopo averlo visto ti senti in grado di fare progetti per almeno i prossimi vent'anni. Film come questi sono rari, preziosi, e vanno tenuti da conto, rivisti e fatti vedere a chi conosciamo e anche a chi non conosciamo, ma vorremmo ci capisse un po' più da vicino. Perché la bellezza di questo film è nel suo sguardo, nel modo in cui si avvicina alle persone, nell'amore con cui le segue passo passo...
Non posso dire tutte le cose a cui ho pensato, mentre lo guardavo. Dopo un lungo periodo di disillusioni non è certo più mia intenzione parlare d'amore (e pensi che qualcuno ti creda?), né tantomeno scriverne. D'altra parte è più o meno dal 2002 che nessuno mi dice ti amo, neanche per scherzo. Però c'è una sequenza in particolare che mi è rimasta particolarmente impressa nella mente, e che rappresenta al tempo stesso il senso del film, dei ti amo che non mi hanno detto e della mia vita in generale. Avrei potuto sceglierne anche altre, ma ho scelto questa, forse perché mi ricorda un altro film che ho amato tanto.

Stavo pensando... Una volta potresti venire da me...



Possiamo farlo subito.



Vuoi dire... Subito subito?



Si.



Ci sono certi momenti nella vita in cui bisogna accettare anche di farsi del male. Una vita è fatta di cose, luoghi, persone che si avvicinano e si allontanano. Ma invece di accettarlo, ogni tanto abbiamo l'impressione di buttarci in un baratro senza fine, e chissà, magari è proprio così. Però forse al posto del baratro dovremmo pensare che è come provare un paio di scarpe nuove perché abbiamo mal di piedi. Può darsi che ci aiuti a togliere il dolore, come direbbe qualcuno, ma può anche darsi che non siano solo le scarpe il problema. Magari uno sente male perché ha le caviglie troppo basse, o chissà quale altro difetto ai piedi. L'importante è trovare qualcuno che ti ascolta, e cerca di fare qualcosa per te. Altrimenti rischiamo di cercare cose che non esistono.

If it's love that you want
Baby you got it
From the depth of my soul
Baby you got it
I've been watching you
Am I loving you in vain
Girl there's no need to explain
Anyway that you want me
Anyway that you'll take me
Anyway that you'll make me feel a part of you
Anyway at all

(Chip Taylor, Jason Pierce)