12.1.06

Dalla cravatta alla pompa pneumatica

E con quella grossolaneria intermittente che riappariva in lui non appena cessava d'essere infelice e che nel momento stesso abbassava il livello della sua moralità, egli esclamò dentro di sé: « E dire che ho perduto degli anni della mia vita, che ho voluto morire, che ho avuto il mio più grande amore, per una donna che non mi piaceva, che non era il mio tipo! »

Marcel Proust, Un amour de Swann

Stando ai più generici principi della fisiognomica, interpretati tra l'altro in maniera piuttosto grossolana, una persona che mi vede per la prima volta potrebbe dire che il mio naso piccolo e regolare è indice di buon carattere e forse di una certa effemminatezza, che i miei occhi scuri leggermente infossati denotano un atteggiamento sospettoso, che la mia bocca larga e regolare lascia presupporre un'indole positiva, mentre le mie labbra carnose rivelano persino una certa sensualità, anche se poco appariscente. La fossetta sul mento, infine, assieme al viso abbastanza squadrato, è sinonimo di bontà d'animo, di gentilezza, e anche di una buona dose di pazienza.



Considerazioni limitate e limitanti, certo, ma che in fin dei conti facilitano il compito di chi dovrà interagire con me, e difficilmente penserà di avere a che fare con un pazzo pronto a puntargli il coltello alla gola. Anche questo poi è vero fino a un certo punto, come dimostrano alcuni aneddoti tratti dalla mia esperienza personale. Ad esempio poco tempo fa mia nonna, che ha più di novant'anni e mi adora, ha temuto che dentro di me potesse addirittura annidarsi una vera e propria furia omicida. Aveva sentito al telegiornale che un giovane - intelligente e ottimo studioso, ma un po' solitario - aveva ucciso e fatto a pezzi gli zii con cui viveva, e quando quel giorno sono andato a trovarla mi ha fatto uno strano discorso, consigliandomi di avere pazienza e sopportare le piccole incomprensioni di ogni giorno con papà e mamma, perché il lavoro arriverà, presto avrò una famiglia mia, e se c'è qualcosa che non va basta che ne parli, perché a tenere tutte le cose dentro poi si finisce come quel ragazzo, intelligente e ottimo studioso, ma un po' solitario che...
Ricordo poi ancora molto bene quando Giulia, all'epoca la mia ragazza, per convincere sua madre a farci andare in vacanza insieme, di fronte a me le chiese: "mamma, guarda Alessio, guardalo bene, con lui vicino cosa vuoi che possa succedermi?". La madre rispose, laconicamente: "si, ha quell'apparenza da bravo ragazzo, ma secondo me ha anche un po' l'aria da maniaco". Lo disse col sorriso, e il suo implicito permesso a portare la figlia in vacanza fu un buon motivo per non insistere sull'argomento, chiedendole cosa intendesse esattamente per maniaco. D'altra parte sua figlia poteva saperlo sicuramente meglio di lei.

Io, com'ero quando stavo con Giulia.



Certo non si può neanche dire che la fisiognomica non abbia un suo fondamento nella realtà. Anche senza aver letto il trattato Della fisiognomica, scritto dal pastore protestante di Zurigo Kaspar Lavater, penso che nessuno si fiderebbe mai a mettere le cose o le persone che gli sono più care nelle mani di un qualche losco figuro con gli occhi torvi e iniettati di sangue, magari grasso come un maiale e con la barba unta.
Ma ciò, che è pur sempre un'evidenza, non può certo spingerci a credere che l'aspetto fisico ci condizioni così tanto da influenzare in maniera decisiva la nostra pur debole personalità. Quando andavo alle superiori, ad esempio, la ragazza di cui ero innamorato usciva con un ragazzo grosso, rozzo nei lineamenti e nei modi, goffo e francamente inguardabile, ma che aveva una sua rilevanza, una sua notorietà all'interno dell'istituto. Io ero una nullità, nell'istituto intendo, e di conseguenza mi sentivo inferiore a lui e di nessun interesse per le ragazze, sia esteriormente che interiormente, anche se l'interiorità era l'unica cosa che avrei salvato, di me. Dal momento che non la vedeva nessuno, potevo sempre pensare che se qualcuno prima o poi l'avesse scoperta, forse l'avrebbe anche potuta apprezzare. La salvavo col beneficio del dubbio, diciamo così. Soltanto ora, col senno di poi, posso dire con discreta certezza che pur non essendo particolarmente bello, non è stato l'aspetto fisico a condizionare le mie insicurezze negli anni seguenti. Altrimenti, se fossi stato solo un poco più brutto, brutto quanto il ragazzo che piaceva al mio amore immaginario del liceo, come sarei finito? Che fine avrei fatto? Non voglio neanche pensarci.
Quindi non posso che essere d'accordo con Georg Christoph Lichtenberg quando, confutando le teorie di Lavater, afferma che la fisiognomica non può essere neanche lontanamente considerata come una scienza dimostrabile, ma semmai come uno schema mentale che usiamo per semplificare la realtà che ci circonda. Riconoscendo nei volti che camminano intorno a noi ogni giorno i tratti del maiale grasso e cattivo, della volpe furba o del cammello malfattore, la nostra economia percettiva non potrà che beneficiarne. Anche se nel momento stesso in cui bisogna associare alle forme decifrate dei comportamenti, arrivano a sovrapporsi anche altri parametri. Come dovrò comportarmi con un eventuale islamico - cammello che mi chiede un'indicazione su come si usano i distributori di merendine in stazione? Dovrò chiamare un poliziotto gridando all'attentato? E se a una festa incontro una ragazza - faina che mi piace? Dovrò scartarla solo perché ha le labbra sottili?

Un disegno di Charles LeBrun, appassionato di fisiognomica



No, credo che alla fine non ricorrerò ai calcoli e alle misurazioni di Lavater o Lombroso, né alle magnifiche e deliranti intuizioni di Charles LeBrun, ma mi baserò su un insieme di concetti preesistenti che fanno parte sicuramente della società e della cultura in cui vivo, e in larga misura dipendono da criteri assolutamente personali. Se ad esempio ho avuto un'esperienza negativa con una ragazza dalle labbra sottili, sarò certamente prevenuto. Anche se questo, lo ammetto, finora non è bastato a tenermi lontano dal ripetere sempre gli stessi errori. Forse perché a qualsiasi volto, a qualsiasi voce, a qualsiasi umana caratteristica di una ragazza che mi piace si sovrappongono sempre, nella percezione che ho di lei, le fantasie e le aspirazioni ideali che si sono sedimentate per tutti questi anni nella mia mente, tanto che ho spesso pensato di aver amato sempre la stessa ragazza. Anche se evolveva, cresceva e pure cambiava di aspetto, a volte impercettibilmente e a volte in maniera più marcata, proprio come una persona viva, in carne ed ossa, ho avuto spesso l'impressione che la sua immagine reale esistesse solo nel mio cervello.

« Ciascuno di noi, dal momento che non è in grado di comprendere un volto per intero, ne fa, per così dire, un estratto, ricavandolo in base alla propria collocazione nel mondo, alle proprie idee, ai propri interessi, al proprio umore e al proprio ingegno, e attribuendogli, secondo questo sistema, i significati più strani. »

Georg Lichtenberg, Sulla fisiognomica; contro i fisionomi.



Georg Lichtenberg, docente di fisica dell'Università di Göttingen verso la fine del '700, di fronte alle teorie di Lavater contrappose alla fisiognomica la scienza patognomica, che studia non l'influenza di alcune caratteristiche dell'esteriorità sulla personalità dell'individuo ma, al contrario, i continui cambiamenti del corpo dovuti al proprio stato emotivo. Rigirando un po', ma neanche troppo, questo assunto, si può dire che io faccia la stessa cosa, quando parlo delle mie esperienze sentimentali passate. Cerco di decifrare di volta in volta le modifiche che le mie emozioni inducono sul volto umano dell'amore ideale disegnato dalla mia immaginazione, con il sogno forse di trovare un giorno il segreto per riconoscerlo nella realtà, ottenendo la perfetta sovrapposizione dell'uno e dell'altro, di ciò che è fuori e di ciò che è dentro di me.
So, come forse immaginava anche Lichtenberg, che si tratta di un'operazione difficile, faticosa e forse impossibile. Come sarebbe facile riconoscere quel volto da una piega delle labbra, dall'ampiezza della fronte, o dagli zigomi più o meno sporgenti... Il mio intenso e inarrestabile lavoro, invece, non mi dà nessun punto di riferimento preciso, nessuna certezza, come potevano esserlo le proporzioni di un volto per Lavater. La mia è una ricerca che presuppone l'interazione, l'incontro con un'altra persona. E come tutte le interazioni, e come tutti gli incontri, nasconde in sé le insidie dell'incomprensione, del dolore e dell'abbandono. Ma come potrei mai preferire un approccio che mi garantisce sì un risparmio della fatica percettiva e uno schema di riferimento sicuro, ma non è capace di spiegarmi fino in fondo perché una persona, che apparentemente neanche mi piace o che addirittura non ho neanche mai visto, è capace di sconvolgere ogni mia sensazione, ogni piccolo frammento della mia nuova vita nata dall'incontro con lei?

Alcuni casi studiati dal famoso medico, criminologo e collezionista Cesare Lombroso.



Oggi non sono solo le riflessioni di Georg Lichtenberg ad allontanarci dalla convinzione che sia possibile conoscere l'interiorità dell'uomo attraverso l'analisi di alcune caratteristiche del suo aspetto esteriore. La psicanalisi, le storie nate su internet, la chirurgia estetica, la multirazzialità e l'incredibile varietà negli stili di vita delle persone rendono la fisiognomica assolutamente fuori moda, e credo giustamente. Il rapporto tra interno ed esterno appare ora quasi rovesciato. L'uomo ha molte più possibilità di fingere un'apparente normalità, di mascherare i difetti fisici e non, o di nasconderli. Può addirittura farne una propria forza, una peculiarità. Sono invece i turbamenti della psiche ad imporsi in tutta la loro pericolosità, senza che il corpo ne rechi tracce tangibili. Chissà cosa penserebbe oggi Lombroso, la cui testa dall'espressione corrucciata è conservata sotto formalina in un vaso di vetro, su uno scaffale dell'ormai smantellato (e purtroppo attualmente non visitabile) museo di antropologia criminale, a Torino. Chissà cosa direbbe anche Lavater, che nel '700 diede basi scientifiche allo studio del carattere in rapporto alla fisionomia, ed era un appassionato collezionista di ritratti di silhouettes, quei profili del corpo disegnati in nero su sfondo bianco che andavano tanto di moda all'epoca, e che lui riteneva utilissimi strumenti per capire le persone.

Un esempio delle Silhouettes di Lavater, con alcune tracce della sua analisi.




Ma la mia ammirazione per Lichtenberg non si limita certo alla sua opera di confutazione delle tesi della fisiognomica, allora così in voga tra intellettuali e scrittori (Goethe e Balzac ne furono, pare, ammiratori). Né la stima che ho per lui è dovuta ai suoi pur sagaci e intelligenti aforismi. Il fatto è che poco tempo fa, sfogliando a casa di Fabio l'ultimo volume degli Scritti di Walter Benjamin (1934 - 1937), ho trovato per caso una lettera di Lichtenberg (fa parte di una raccolta di lettere di intellettuali tedeschi del XVIII e del XIX secolo realizzata dallo stesso Benjamin). Era questa:

Lettera di Georg Cristoph Lichtenberg a G. C. Amelung.

Gottinga, inizio del 1783

Mio amatissimo amico,

questa, io la chiamo davvero amicizia tedesca, carissimo. Mille grazie per il Suo ricordo! Non le ho risposto subito, e sa il cielo quel che ho passato! Ella è e dev'essere il primo a cui lo confido. L'estate scorsa, poco dopo la Sua ultima lettera, ho patito la più grave perdita della mia vita. Quel che io Le dico, non deve saperlo nessuno. Nel 1777 (i sette non servono proprio a nulla), conobbi una ragazza, figlia di gente di questa città, che aveva allora un po' più di tredici anni, nella mia vita non avevo mai visto un simile modello di dolcezza e di bellezza, sebbene abbia visto molto. Quando la vidi per la prima volta, si trovava in compagnia di altri cinque o sei a vender fiori ai passanti sui bastioni, come fanno qui i bambini. Mi offrì un mazzo, che acquistai. Avevo con me tre inglesi, che mangiavano e abitavano a casa mia. God almighty, disse uno, what a handsome girl this is. L'avevo notato anch'io e, sapendo che razza di Sodoma sia la nostra cittaducola, pensai seriamente di sottrarre a simile commercio quella splendida creatura. Le parlai finalmente a quattr'occhi e la pregai di venirmi a trovare; mi rispose che non andava in casa di un giovanotto. Ma quando sentì che ero un professore, venne un pomeriggio con sua madre. In una parola, smise di vendere fiori e stava tutto il giorno da me. Trovai allora che quel corpo splendido celava un'anima, quale da lungo tempo avevo cercato senza mai trovarla. Le insegnai a scrivere e a far di conto, e altre nozioni che, senza farne una svenevole saccentella, sviluppassero sempre più la sua intelligenza. I miei apparecchi di fisica, che mi son costati più di 1500 talleri, l'attirarono all'inizio per la loro lucentezza e alla fine l'usarli divenne il suo unico divertimento. La nostra conoscenza era ormai cresciuta in sommo grado. Andava via tardi e tornava col giorno, e per tutta la giornata si dava da fare a tenere in ordine la mia roba, dalla cravatta alla pompa pneumatica, e questo con una dolcezza angelica, quale non avrei mai pensato possibile. La conseguenza fu quella che Ella può indovinare: dalla Pasqua del 1870 rimase sempre da me. Questa vita le piaceva al punto che non scendeva le scale se non per andare in chiesa e a comunicarsi. Non c'era modo di allontanarla. Eravamo sempre insieme. Quando era in chiesa mi sembrava di esser rimasto privo degli occhi e di tutti i sensi. - In una parola - pur senza la benedizione pretesca (mi perdoni l'espressione, ottimo, carissimo amico) ella era mia moglie. Nè io potevo guardare senza commuovermi profondamente l'angelo che aveva contratto una simile unione. Che mi avesse sacrificato ogni cosa, senza forse sentirne tutta la gravità, mi era insopportabile. Perciò la facevo sedere alla mia tavola quando c'erano amici che pranzavano da me, le davo tutti gli abiti che la sua posizione richiedeva, e ogni giorno l'amavo di più. Era mio fermo proponimento unirmi con lei anche dinanzi al mondo, cosa che ella, con l'andar del tempo, prese talvolta a ricordarmi. Oh, gran Dio! Questa fanciulla divina mi è morta la sera del 4 agosto 1782, al calar del sole. Avevo chiamato i medici migliori, tutto è stato fatto, tutto quanto era possibile al mondo. Ci pensi su, carissimo amico, e mi permetta di chiudere qui. Non mi è possibile continuare.

G. C. Lichtenberg


A parte il linguaggio apparentemente formale dell'epoca, o forse proprio grazie ad esso, la trovo una perfetta rappresentazione di quanto sia fragile e inafferrabile la felicità, a questo mondo. Passiamo una vita intera a chiederci come raggiungerla, ad arrovellarci sul senso stesso della nostra vita, e quando riusciamo ad afferrarne un brandello, uno soltanto, non ci rendiamo conto di come, in un brevissimo istante, possa sfuggirci via dalle mani. La tentazione di sedersi su una sedia a guardare gli altri vivere è forte ma, con il richiamo di una sensuale sirena, ad ogni angolo la vita torna continuamente ad avvilupparci nei suoi gorghi violenti, portandoci chissà dove.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

quand tu ne deviens pas pathétique tu écris post sympathiques, bien faits et intéressants mais cette poupée de gomme est inquiétant que ton âme
salut

Anonimo ha detto...

tu es en train de pénétrer encore la poupée de gomme?